Stava andando verso l’assemblea del
Senato della Repubblica, che quel giorno era chiassoso come un’arena durante le
fasi cruciali di un rodeo. Dava l’impressione di un’immane bottiglia di
champagne, il cui tappo sarebbe saltato da un momento all’altro. Il Governo
aveva posto la fiducia sulla riforma sanitaria, ma l'onorevole Fresu aveva
svolto meticolosamente i suoi compiti.
Nelle settimane precedenti si era dato
un gran da fare per far quadrare un cerchio sempre più stretto. Qualche mese
prima il Segretario gli aveva affidato la gestione dei numeri ma solo l'ultimo
mese era stato decisivo, quattro settimane in cui tuonavano malumori, si
concentravano ricatti e coercizioni, si utilizzava il bilancino per considerare
i rispettivi interessi, personali o di cordata.
Per questo, ma non solo, le ultime
settimane furono oltremodo impegnative. Ore trascorse in riunioni riservate che
si svolgevano in ogni dove. Nei locali come negli appartamenti di tutta Roma,
nei bagni del Parlamento come in anonimi uffici della Camera, del Senato, dei Ministeri.
Riunioni dove si parlava di tutto, fuorché della riforma sanitaria.
Ora poteva finalmente rilassarsi, aveva
combattuto e aveva vinto. Alla Camera la maggioranza era stata schiacciante. Al
Senato la legge sarebbe passata con una forbice che andava da un massimo di quaranta
a un minimo di trentacinque voti di scarto. Non ci sarebbero state sorprese,
infatti, il lavoro di Giovanni Fresu consisteva proprio nell’evitare sorprese
alla sua corrente, e in particolare al suo Segretario.
Era sulla punta della lingua di tutti:
quella era stata una sua indiscutibile vittoria. Nessun giornale lo avrebbe
scritto, nessun talk show ne avrebbe parlato. Aveva operato con precisione
chirurgica. Talvolta aveva inviato delegati a chiudere le trattative, persone
che avevano il mero compito di mietere quanto lui aveva pazientemente seminato.
Quando parlavano, in realtà, la voce non era loro ma di Giovanni Fresu, Sottosegretario
al Ministero di Grazia e Giustizia e responsabile organizzativo nella
Segreteria Nazionale.
Ora stava comodamente seduto in una
posizione strategica: osservava attentamente il viso dei compari (nomignolo che
aveva dato ai suoi colleghi anche dei partiti avversi) e osservava
ossessivamente i loro visi, per cogliere un volto sin troppo tirato, o
qualsiasi altra somatizzazione che potesse rivelare una coscienza non proprio pulita.
Quando il Presidente del Senato proclamò
i dati, un fragoroso applauso si levò dalle bancate. In tanti si alzarono dalle
poltrone per salutare non tanto la nuova legge, quanto la vittoria del Governo.
Altri, invece, urlavano frasi offensive, lanciavano pezzi di carta, cercavano
l'aggressione con visi alterati da sentimenti ostili. Speravano che il Governo
ammainasse bandiera bianca, ma le loro speranze naufragarono nelle burrasche
delle correnti politiche.
Il Brano è tratto da “La voce del
Padrone,” di Vincenzo Maria D’Ascanio, Sa Babbaiola Edizioni, 242 pagine.
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