Invece
di studiare letteratura, aveva pensato bene di fare la vita del
filosofo/teppista, vivendo come il più classico dei vagabondi. Beveva smodatamente
e dopo un anno fu assunto in una falegnameria, abbandonando così gli studi. Tra
un chiodo e una trave si scoprì poeta, e cominciarono le collaborazioni con alcuni
giornali indipendentisti, diventando popolare nell’ambiente nazionalista sardo.
Come
spesso gli capitava, tuttavia, in Pietro prevalse la sua inclinazione per la
discontinuità. Decise di ritornare a Santa Chiara per aprire una falegnameria,
e dopo qualche anno sposò Luciana. Raggiunse così un certo equilibrio, ebbe due
bambini e una falegnameria tutta sua, dove realizzava anche degli apprezzabili
lavori artistici.
Dopo
la morte della madre i due fratelli scelsero strade differenti. Giovanni
diventò avvocato e astro nascente della politica isolana, mentre Pietro si votò
a una vita tranquilla, persino ordinata. Nel suo appartamento romano Giovanni riceveva
lettere con alcune poesie in sardo, mai firmate. Del resto non era necessario,
infatti, per il deputato lo stile poetico del fratello era inconfondibile.
Ora
a tenerli uniti era il destino del vecchio padre, lentamente sprofondato nelle
nebbie dell'Alzheimer. Tziu Francu aveva momenti di lucidità, ma era come un
battello in balia della tempesta, orientato da un faro funzionante a
intermittenza. La malattia l’aveva reso immune dai dolori e dalle gioie della vita,
relegandolo in un’età senza tempo. Giovanni gli aveva assicurato la permanenza
in una moderna casa di cura, ma lo incontrava con difficoltà. Il parlamentare
non riusciva ad abituarsi: dopo ogni visita si sentiva profondamente sconvolto.
Il Brano è
tratto da “La voce del Padrone,” di Vincenzo Maria D’Ascanio, Sa Babbaiola
Edizioni, 242 pagine.
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